ROBERTO OSCULATI

Ordinario di Storia del Cristianesimo
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania
(1987 - 2012)
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Cristianesimo e mutamento delle forme culturali

in In charitate pax, a cura di F. Armetta e M. Naro, Palermo, pp. 481-493.

È stato recentemente riproposto anche dalla gerarchia ecclesiastica, in particolare in Italia, il problema dei rapporti tra la fede cristiana e la cultura delle nazioni in cui essa è presente. Tutto l’ultimo secolo d’altra parte ha dovuto affrontare questa sfida, sia sul piano intellettuale che su quello etico e politico. Dalle tensioni della Belle Epoque alle crisi belliche, dalle forme politiche autoritarie alla democrazia, dalle ideologie scientifiche agli esistenzialismi e al marxismo, dalla società in gran parte alle prese con l’elementare sopravvivenza a quella del benessere, dalla limitata diffusione della cultura alla comunicazione di massa, l’annuncio dell’evangelo cristiano nelle nazioni dell’occidente ha visto cambiare i propri destinatari in modo sorprendente. Questa evoluzione storica è in corso da molto tempo ed ha già visto nel secolo diciannovesimo mutamenti culturali assai accentuati. La relazione tra la fede e il suo contesto immediato vi si è riproposta ad ogni istante ed ha richiesto scelte impegnative. Il concilio Vaticano II è stato per il cattolicesimo un’autorevole presa di coscienza di questa prospettiva e delle sue esigenze. Lo sottolinearono ripetutamente nei loro discorsi sia Giovanni XXIII che Paolo VI e l’assemblea si dimostrò in larga parte molto sensibile ad un riesame critico dell’annuncio cristiano in un mondo dinamico e multiforme. Le strutture intellettuali e organizzative con cui il cattolicesimo aveva risposto alle crisi del mondo moderno sembrarono degne di un ulteriore accurato riesame in vista di un’evangelizzazione in linea con le nuove esigenze. Non ci si doveva rinchiudere nella cittadella ecclesiastica rinforzandone le capacità di difesa. Si doveva piuttosto, ancora una volta, pensare e vivere il cristianesimo nella sua natura apostolica e missionaria.

In questa prospettiva ci si può chiedere quale sia oggi il compito che spetta ad una presentazione della fede nel contesto delle strutture scolastiche ed accademiche, in particolare nelle scuole medie-superiori e nelle università. Lì molti giovani vengono a contatto con un insegnamento religioso confessionale, nel primo caso, e nel secondo con una trattazione storica del cristianesimo, quale è spesso presente nelle Facoltà di lettere e filosofia. Si vorrebbero indicare alcuni spunti di meditazione nati dall’esperienza.

1. Il contesto odierno

Nella cultura scolastica italiana hanno una grande prevalenza i criteri storici, soprattutto dove le materie di insegnamento sono l’italiano, il latino, il greco, le lingue straniere moderne, la storia politica, la filosofia, la storia dell’arte. L’esperienza della coscienza che si costruisce e si esprime nella storia individuale e collettiva è un canone culturale molto diffuso. Esso si rifà alla classicità greco-latina, all’umanesimo europeo, all’illuminismo, allo storicismo e all’idealismo, alla psicanalisi, all’esistenzialismo, alle filosofie dell’esperienza e dei linguaggi. Pur senza possedere la forza speculativa e l’energia pratica di un tempo, tali forme di pensiero costituiscono gran parte dell’autocoscienza comune più diffusa. Si potrebbe dire che nei paesi ricchi dell’occidente si sia sedimentata una cultura dell’io molto sottile, esigente e ipersensibile. Sembra molte volte che la percezione soggettiva della realtà sia il canone intellettuale ed etico più disponibile e comprensibile, fino a dare l’impressione di un notevole narcisismo. Questo atteggiamento nei giovani è accentuato dal benessere economico molto diffuso e assicurato dalla vita familiare. Si aggiungano il rinvio delle scelte ultimative sia sul piano professionale che su quello affettivo, una notevole libertà di movimento e di relazioni, l’assenza di regole rigide, la presenza di una vasta realtà immaginaria coltivata dagli spettacoli e dalle letture. Talvolta si può avere l’impressione che i giovani di oggi possano permettersi di dare alle loro esperienze personali un primato molto largo rispetto ad obblighi, a doveri, a necessità un tempo assai pesanti. È evidente che in altri contesti i problemi siano molto differenti, ma nella società ricca questi fenomeni sono molto accentuati ed è difficile rinunciare con scelte determinanti a questa condizione sperimentale e provvisoria. Il soggetto umano, liberato almeno in apparenza da un mondo obbligatorio, diviene il protagonista di una sua piccola storia che si giustifica da sé e si evolve iuxta propria principia in un contesto pubblico piuttosto elastico e molto protetto.

2. Un percorso del passato

Se si considera invece il cattolicesimo dominante fino agli anni tumultuosi del Concilio e dell’epoca postconciliare, se ne ricava un’immagine della fede cristiana che sembra lontanissima dalla cultura media di oggi. Chi sia stato educato nella sua giovinezza secondo quei criteri, propri della società religiosa come di quella civile, sa che la religione si presentava come un solenne organismo intellettuale, morale, rituale e giuridico, in Italia dotato pure di una precisa collocazione politica. Questo grande involucro poteva talvolta apparire soffocante e autoritario, sembrava perdersi in minuzie, creava non poche angustie e tensioni. Ma dava la coscienza di una grande sacralità, energia ed efficienza. Esso appariva sostenuto da persone totalmente dedite a quella funzione e capaci di interessarsi di qualsiasi problema in modo coerente e generoso. A loro si poteva ricorrere con fiducia in molte circostanze individuali o pubbliche dell’esistenza. Si pensi a quello che significavano un tempo il sacramento della penitenza, la beneficenza ecclesiastica oppure l’orientamento sociale e politico. Anche di fronte a ciò che appariva troppo invadente o pesante si aveva spesso l’impressione che in quel solenne e onnisciente organismo pulsasse una vita di cui si voleva carpire il segreto. In un mondo sconvolto dalle guerre, così spesso preda dell’angoscia e della miseria, il cristianesimo appariva come un porto sicuro, una sapienza teorica e pratica cui ci si poteva affidare.

Il messaggio biblico poi, per chi sapeva coglierne i tratti esigenti, appariva come una profezia, come una luce nelle tenebre e persino molti autori letterari ne avevano sottolineato l’attualità. Le loro opere correvano, decenni fa, nelle mani di molti. Si pensi a Franz Werfel, a Ernst Wiechert, a George Bernanos, a François Mauriac, a Bruce Marshall. La figura di Cristo si stagliava netta di fronte alle follie e alle meschinità del mondo, rivelandovi il divino. Essa rappresentava agli occhi di tutti l’ideale di un universo liberato dal male e dalla morte e capace di raggiungere quella bontà, quella semplicità e quella pace cui gli animi aspiravano. Dostoevskij e Tolstoi, ad esempio, erano stati gli annunciatori molto apprezzati di questo significato concreto ed esistenziale dell’antico dogma. La liturgia ecclesiastica, nella sua sacralità, spesso incomprensibile, aveva inoltre un fascino oggi difficilmente ripetibile.

D’altra parte la ricerca intellettuale conduceva a scrutare le più intime fibre dell’esperienza umana per farne propri gli aspetti più veri e più intensi. La vita etica personale voleva prendere coscienza dei propri talenti in una società che, dopo le dittature e le guerre, si incamminava verso la libertà, la democrazia, la giustizia. L’educazione, almeno nei casi migliori, portava ad un’interpretazione personale del mondo, per partecipare ad una costruzione collettiva, che avrebbe dovuto allargarsi all’umanità.

Quanto il Concilio propose portava a maturazione pubblica questo processo, insieme ecclesiastico e più generalmente umano, dove la fede cristiana e la razionalità si sentivano spesso affini e in continuo dialogo. L’evangelo nella sua purezza e nel suo rigore poteva sembrare vicino ad una ragione preoccupata dalla dignità e dalla libertà di ognuno. Anche se non mancavano motivi di conflitto, si sentiva spesso un’affinità morale nel desiderio di trovare forme collettive di giustizia e di pace. L’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII è uno dei documenti più vivi di questa convergenza verso valori universali.

3. Un cristianesimo semplificato

Occorre riconoscere però che accanto a questa prospettiva in cui predominava facilmente il significato etico della fede, si ponevano altre forme di religiosità e linguaggi religiosi molto diversi. A un cristianesimo colto ed energico, conscio delle sue fonti e delle sue caratteristiche, capace di un dialogo serio con chiunque, poteva facilmente contrapporsi un tipo di fede basata su immagini semplici ed ingenue. Per fare alcuni esempi si pensi alla nozione di Dio quale organizzatore della macchina mondana o quale scrupolosissimo legislatore della vita morale, di cui chiedeva conto, pronto a punire ogni deviazione. Si pensi alle immagini della creazione primitiva e al peccato dei progenitori, agli eventi miracolosi della storia sacra considerati come garanzia dell’azione divina, alla chiesa pensata come perfetto organismo rituale e legale, alle immagini semplificate dell’anima e del corpo, del paradiso, del purgatorio e dell’inferno, alla netta distinzione, o contrapposizione, un tempo corrente tra l’ordine naturale e quello soprannaturale. La fede poteva spesso apparire come l’adesione ad un meccanismo generale dell’esistenza amministrato da una gerarchia incontrovertibile.

Da questa concezione apodittica nascevano poi facilmente i dubbi intellettuali e le contestazioni morali. L’esperienza personale si trovava di fronte una struttura codificata del sacro, che entrava spesso in tensione rispetto alle esigenze soggettive. Si poteva porre così il problema delle forme in cui il messaggio cristiano si era calato, spesso mutuandole da linguaggi e pratiche lontane dalla severa regola del messaggio evangelico: l’amore di Dio e del prossimo. Ci si poteva domandare allora quale tipo di umanità proponesse la fede cristiana, che cosa veramente intendesse con le sue nozioni del divino e della verità ecclesiastica, come giudicasse il suo passato, così pieno di luci e di ombre, di eroismi e di acquiescenze, quale futuro delineasse per l’evoluzione delle forme sociali ed economiche. La solidità impersonale dell’organismo ecclesiastico, messa a confronto con le dialettiche della storia, poteva suscitare molte diffidenze e molti interrogativi.

4. La critica del cristianesimo

Nella cultura letteraria, filosofica e storica dell’umanesimo italiano la critica delle forme religiose e il desiderio di una loro continua purificazione sono un retaggio antichissimo. Esso si ripropone continuamente nei programmi scolastici e mette lo studente, ancor oggi, a contatto con un conflitto che non riguarda solo il rapporto tra la ragione umana e la fede, ma è pure interno alle diverse forme di quest’ultima. Si pensi, a proposito della classicità, alla filosofia platonica e alla figura di Socrate, si ricordi la scarnificazione dell’umano e del divino compiuta dalla tragedia greca, in particolare da Euripide, si rammentino le critiche di Lucrezio, si tenga presente la moralità universale dello stoicismo. Per venire alla letteratura italiana occorre tenere davanti agli occhi la Commedia di Dante, che è una serrata critica alla chiesa ufficiale del suo tempo: quanto più il poeta si avvicina alla meta del suo viaggio, tanto più sono feroci le sue invettive verso l’organismo ecclesiastico e tanto più si stagliano le figure dei santi quali accusatori della corruzione della cristianità.

L’osservazione disincantata o addirittura sarcastica dell’organismo pubblico della religiosità nata dall’evangelo e spesso corrottasi nel mondano è un genere letterario corrente della letteratura italiana. A Dante si accompagnano infatti Iacopone da Todi, Petrarca, Boccaccio, Caterina da Siena, Machiavelli, Guicciardini, Tasso, fino ad arrivare a Leopardi, Manzoni, Fogazzaro, Verga, Pirandello, Silone, Sciascia, solo per indicare alcuni nomi di grande rilievo. Si tratta di autori che per anni costituiscono il campo di lavoro quotidiano dei giovani ed a loro spesso la problematica religiosa giunge attraverso questi canali, molto più che per mezzo di un insegnamento ecclesiastico ufficiale. Questo appare spesso astratto, lontano, formalizzato, rispetto alla vivacità dell’immagine letteraria, così carica di problemi umani universali e così consonante con le esperienze soggettive.

La filosofia moderna non è meno carica di problematiche religiose e morali. Si pensi a Pascal, Spinoza, Kant, Hegel, Kierkegaard, Marx, Nietzsche, Croce, Sartre ed anche lì il problema di Dio e dell’uomo, del bene e del male, del vero e del falso torna in forme diverse e sollecita la curiosità e la compartecipazione. Lo studio della storia politica poi pone gli studenti di fronte a fenomeni religiosi che hanno condizionato l’evoluzione della società o ne sono una componente essenziale. Si pensi al monachesimo e al francescanesimo, alle riforme cinquecentesche, ai cristianesimi nazionali dell’Europa moderna e al loro nesso con la vita politica e culturale. Lo studio delle rivoluzioni moderne pone davanti a rivolgimenti che hanno respinto gli organismi ecclesiastici obbligatori ai margini della vita pubblica. Hanno prodotto la distruzione del predominio ideologico ed etico delle chiese, l’eliminazione dei privilegi del clero, la fine dell’immenso patrimonio ecclesiastico, la cessazione del monopolio educativo ed assistenziale delle chiese, il formarsi di strutture pubbliche indipendenti dal potere religioso. Il problema del cittadino e dello stato ha sostituito quello del credente e delle chiese, respingendo a poco a poco nella sfera privata la questione teologica. A questo si aggiunga la conoscenza delle degenerazioni della cristianità, quali le crociate, le guerre di religione, le conquiste crudeli e distruttive, le persecuzioni e tutte quelle forme di violenza che si ammantarono di panni cristiani ed accettarono un mondo fondato spesso sulla crudeltà e sull’ingiustizia più bieche. Si pensi in proposito alla conquista delle Americhe da parte dei bianchi cristiani. Lo studente della scuola media-superiore e della Facoltà di lettere e filosofia è continuamente alle prese con questo volto oscuro del cristianesimo, che non può essere semplicemente liquidato con un sospiro e che è ben lontano dall’essere del tutto scomparso in altre regioni del mondo.

Si deve inoltre considerare che pure all’interno del cristianesimo più ufficiale si sono sempre levate voci critiche verso le sue realizzazioni storiche. La cultura umanistica ha sempre ascoltato con simpatia questa coscienza cristiana inquieta e l’ha sentita affine ai propri canoni di razionalità. Si pensi a Benedetto, Francesco, Caterina da Siena, Nicolò Cusano, Marsilio Ficino, Erasmo, o alle diverse forme di misticismo, spiritualismo o pietismo che hanno alimentato l’esperienza cristiana dell’Europa moderna o dell’America anglosassone. E infine il concilio Vaticano II non è stato un grande fenomeno di autocritica ecclesiastica cattolica? Basti pensare alle decisioni prese in materia di liturgia o sulla libertà religiosa, sull’ecumenismo cristiano e sui rapporti con le altre religioni. Se si volesse fare un confronto aperto tra le posizioni di Gregorio XVI e Pio IX e quelle conciliari del ventesimo secolo ci sarebbe non poco da stupirsi riguardo ad un’evoluzione che ribalta le prospettive ecclesiali.

La storia effettiva della cristianità nei suoi vari aspetti, dottrinale, rituale, giuridico, economico e politico, appare facilmente, dal punto di vista dello studio civile, carica di tensioni, anzi di contraddizioni stridenti. Ma anche piissimi ed insospettabili cardinali di curia dell’epoca barocca, quali Roberto Bellarmino e Giovanni Bona, lo mettevano in luce senza pudori: ritenevano essenziale per la purezza teorica e pratica della fede cristiana una presa di coscienza molto critica del cristianesimo storico. Pure Giovanni XXIII era erede di una spiritualità che si poneva esplicitamente questo problema e si alimentò sempre con letture di maestri assai critici e privi di inutili ipocrisie, come ad esempio Lorenzo Giustiniani o Cornelio a Lapide.

Lo studente che segue i programmi culturali pubblici, quali sono stati fissati dallo storicismo novecentesco, in maniera più o meno approfondita viene a contatto con espressioni storiche della religiosità cristiana molto variegate e difficilmente conciliabili. L’istruzione catechistica ricevuta nell’infanzia e nella prima adolescenza è di solito incapace di fornire i mezzi per valutare questo groviglio di esperienze e di realizzazioni differenziate. La coscienza che di solito lo studente viene acquistando spesso urta con un cristianesimo semplice, ingenuo e non problematico, quale è quello accolto nell’infanzia. Si genera allora una condizione inquieta, accompagnata da una larga diffidenza verso le strutture ufficiali della religione, a meno che si accolga, in qualche caso, una presentazione apodittica del cristianesimo, respingendo ai margini le problematiche storiche, psicologiche ed etiche. Ci si trova spesso davanti a due culture diverse, di cui è difficile progettare una conciliazione. Da una parte la verità è concepita come un cammino storico e personale senza fine, dall’altra vuole presentarsi in forme fisse e comuni, quasi che dietro alle vicende della storia ci sia una struttura ontologica o metafisica immobile cui occorre adeguarsi mettendo in secondo piano la storia effettiva dei singoli e delle comunità.

È evidente allora che bisogna porsi il problema delle modalità intellettuali e morali con cui l’esperienza cristiana viene pensata e proposta. Si potrebbe dire che si tratta più di un problema filosofico che non di quella fiducia di cui parla il Nuovo Testamento quale origine della giustizia propriamente cristiana. Su quest’ultima nessuno è in grado di esprimere giudizi ultimativi e si nasconde nel più profondo delle coscienze. Di fronte però al mutare delle forme culturali caratteristico del mondo moderno il cristianesimo ha voluto spesso assumere un volto ufficiale rigoroso e schematico, superiore alle vicissitudini storiche sempre più complesse e alle ancor più intricate vicende psicologiche e morali degli individui. Queste erano affidate alle procedure della misericordia che perdona, mentre l’organismo pubblico doveva mostrare tutta la sua compattezza.

Il cristianesimo di oggi, nella percezione di molti, si trova così ad essere teso tra due poli difficilmente conciliabili: un messaggio d’amore e di pace, che trova eco in qualsiasi cuore, ed un sistema ecclesiastico frutto di una lunga evoluzione, caratteristico di una determinata epoca, abituato a porsi come indiscutibile, ma insieme assai complicato e dagli equilibri non del tutto fissati. Per ricordare una vecchia dicotomia si può ancora una volta citare la tensione tra l’evangelo e la chiesa o, meglio, tra la chiesa ideale dell’evangelo e le forme storiche che il suo messaggio ha assunto per giungere fino ad oggi.

Di fronte alla varietà del fenomeno religioso cristiano, al suo dinamismo, alle sue contraddizioni ci si può sempre domandare: quale Dio? quale evangelo? quale chiesa? quale fede? quale speranza? quale giustizia? Queste domande sono molto vive nella mente dei giovani di oggi e, se si propongono la ricerca, il dialogo, il confronto sulle questioni religiose, li si trova prontissimi ad accettare la sfida e ad affrontare percorsi intellettuali difficili. Abituati a percepire la realtà come scelta, come esperienza, come costruzione personale, come sentimento, come ampliamento di orizzonti, il loro modo più comune di penetrare nel campo della cultura religiosa è quello che soddisfa queste loro esigenze. Le forme attraverso le quali l’esperienza religiosa arriva alla loro sensibilità non possono essere quelle di una cultura che non conoscono e non condividono.

Per parlare dell’esperienza religiosa in un ambiente scolastico o accademico ci si deve porre nell’ambito di quella percezione del mondo che è caratteristica della loro epoca e che esige una peculiare visione della realtà, dell’essere, dei principi, dei valori. Si potrebbe dire che la nozione dell’essere, quale spesso sta alla base della cultura ecclesiastica, deve essere ampliata e resa più duttile per accogliere un tipo di cultura che per se stesso non esclude affatto la verità religiosa. Vuole solo vederla e viverla in modo più affine alle proprie esigenze soggettive. Piuttosto che una relativizzazione della fede, potrebbe trattarsi di un suo arricchimento, dell’aggiunta di nuovi punti di vista e di modalità di azione concreta. Ma, in ogni caso, l’uso di categorie mentali diverse da quelle prevalse nel cattolicesimo anteriore al Concilio, e riprese dalla scolastica tomista, non significa per se stesso una menomazione della verità religiosa o un rischio continuo di pura storicizzazione e di dissolvimento. Così può apparire se si assolutizzano un tipo di filosofia e le sue applicazioni alla gestione ecclesiastica. La molteplicità delle forme di pensiero caratteristica di tutta la teologia cristiana sta a testimoniare la ricchezza e la fecondità di forme culturali diverse e non si vede perché questo processo di adattamento continuo debba essere arrestato ad una sola opzione intellettuale.

Molte volte poi un’opera letteraria, un diario, un’esperienza vissuta, una musica, un film, un gesto emblematico possono essere via d’accesso alla fede molto più di un documento ufficiale steso in un linguaggio incomprensibile al di fuori della cultura clericale. Del resto forme diverse di comunicazione furono sempre vive in tutta la storia del cristianesimo, che è accompagnata dalla storia artistica, emozionale, pragmatica della fede, oltre che dalle sue vicende dottrinali.

Talvolta ci si può domandare in proposito se l’accento posto nei due ultimi secoli sul volto ufficiale, dogmatico, rituale e giuridico del cattolicesimo non abbia messo in ombra altre forme dell’esperienza, non meno capaci di trasmettere il messaggio dell’evangelo. Si pensi alla mistica ad esempio, alla poesia e all’arte, le cui testimonianze abbondano nella nostra storia passata e vengono accolte sempre dai giovani con grande interesse e partecipazione. Inoltre la legittima esigenza di proporre valori intellettuali e morali obiettivi, senza assumere la fatica dell’evoluzione personale di ognuno, rende certamente più chiari i confini ecclesiali, almeno in teoria e nell’ufficialità, ma non è adatta, se diviene esclusiva, alla comunicazione, al dialogo, all’esercizio paziente della costruzione culturale propria dell’individuo e dei gruppi. Si erigono spesso confini in apparenza netti, ma non si tiene forse sufficiente conto dei percorsi caratteristici di ogni persona, che vuole esercitare la propria libertà di coscienza e vuole essere convinta per esperienza diretta, non per via d’autorità o per semplice remissione o attraverso argomentazioni puramente teoriche. Se ne rendeva ben conto ad esempio Francesco d’Assisi, per il quale la comunicazione dell’evangelo diveniva facilmente recitazione, provocazione, gesto d’amicizia, poesia e canto, incontro immediato tra le persone.

5. Cristianesimo ed esperienza umana

Il carattere profetico dell’evangelo cristiano, quale risulta dalle Scritture, può aiutare ad individuare forme di espressione vicine ad una accentuata sensibilità storica, psicologica ed etica. Si potrebbe dire che il cristianesimo, nelle sue istanze più pure, percepisce il mondo umano in trasparenza. Non si adatta alla sua superficie, all’immediatezza, alla convenzione. Ciò che Gesù rimprovera ai farisei era proprio l’assolutizzazione del dato, della legge, della condanna, del rifiuto. La sua critica colpiva una religione che voleva definire in modo ultimativo i canoni del bene e del male e fissare ad essi le persone in modo esclusivo. Tale tipo di religione finiva per dare la massima importanza alle convenzioni, alle apparenze, ai costumi di un gruppo, di un’epoca, di una forma dottrinale e pratica. L’evangelo messianico è invece il proclama di una novità e di un mutamento, che raggiungono proprio coloro che sembravano esclusi a norma di una religione codificata. Al divino della legge si sostituisce il divino della grazia, della conversione, dello Spirito che raggiunge le persone nel loro intimo, fa percepire un altro tipo di mondo e di vita, sollecita il mutamento. Tutto il Nuovo Testamento è percorso da un ottimismo che vuole superare esclusioni e confini, elezioni riservate e condanne dei dissimili. Il male stesso si fa occasione di bene, la grazia vince sempre la colpa, la vita supera la morte.

In questa prospettiva la fede è conoscenza di un altro mondo spirituale, che va nascendo e sviluppandosi nei cuori. La speranza è partecipazione alla lotta continua contro il male e la morte. L’evangelo appare così come l’annuncio pratico di un ideale di vita, di verità e di amore in un universo umano contorto, ambiguo, violento, grossolano, falso, mostruoso. Il punto di collegamento tra l’esperienza umana e la fede cristiana è la percezione, da una parte, del male che grava su ogni esistenza e soprattutto sulle strutture collettive e, dall’altra, l’aspirazione a combattere contro un destino negativo. "Mors et vita duello conflixere mirando", canta la sequenza pasquale, mentre indica il centro della fede cristiana e degli eventi che la fondano, e insieme il punto più sensibile dell’esperienza umana comune nella sua lotta contro il male. Il cristianesimo delle origini con i suoi racconti, le sue parabole, i suoi segni, con i suoi gesti emblematici raccoglie e sviluppa una tradizione profetica che viene resa universale ed incontra ogni animo umano nelle sue ansie più profonde. Essa esprime, sul piano psicologico ed etico, la coscienza dell’individuo che si ribella al male, che cerca la via d’uscita da un mondo pieno di contraddizioni. La protesta, la speranza, l’attesa, la lotta morale sono le forme di esperienza umana in cui si è incanalata la religione dei profeti, di Gesù, di Paolo e di Giovanni. Non sarebbe il caso di indicare ancora oggi alle nuove generazioni questa prospettiva cruciale, dove si incontrano la tradizione ebraico-cristiana e le esigenze dell’animo umano? Non è questo il contesto più vero, più immediato, più sensibile, dove nasce e si sviluppa ancora oggi l’esperienza religiosa? La filosofia, la fede e la teologia possono nascere e rinascere continuamente su quel terreno che ognuno possiede nel più intimo di se stesso e le nozioni fondamentali della dottrina cristiana possono acquistarvi intensità personale ed impegno morale.

L’analisi critica dell’io, dei rapporti umani, delle strutture sociali, dell’agire della persona, nella sua stessa immediatezza e sincerità, può essere il terreno fecondo della semente evangelica. Lo ricorda spesso Luca, a proposito ad esempio della prostituta pentita (Lc 7,36-50), del cuore nobile e buono delle genti (Lc 8,15), del condannato cosciente della sua colpa (Lc 23,39-43). La fede cristiana nella sua concretezza personale deve diventare esperienza vissuta, intelligenza che capisce, giudizio che sceglie, azione coerente e fattiva. Così è nata e nello stesso modo deve sempre rinascere di nuovo nelle persone, nei loro problemi, nelle loro scelte, nelle loro fatiche, e anche nei loro errori. Come ai tempi di Gesù, di Paolo e di Giovanni occorre sempre di nuovo passare da una religione fissa, impersonale, predeterminata e collettiva ad una personale, dinamica, soggettiva e libera. Essa nasce dalle profondità dell’io e comunica con gli altri io, quando le persone imparano a riconoscere la realtà vivente dell’evangelo, come ebbero modo di capire i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-34).

In questa prospettiva, suggerita dagli stessi testi evangelici, compare davanti alla coscienza Gesù come maestro, nelle sue parole e nelle sue azioni. Egli mostra con tutto se stesso come ci si liberi dalla sofferenza, dalla menzogna, dalla violenza e dalla morte. Egli è colui che supera la prova del cibo, del potere e dello spettacolo quali strutture dominanti della vita umana. Con i miracoli proclama i caratteri di un’umanità felice, con l’amicizia verso i peccatori annuncia la grazia che distrugge la condanna e le esclusioni. Con la critica della legge religiosa riporta la legge alla sua vera natura di impegno per l’amore e la vita. Egli è l’innocente che non si fa complice del male anche se lo subisce. Proclama la libertà dalla morte, effonde la sua realtà spirituale nei suoi, che diventano il suo mistico corpo, testimonia con tutto se stesso un valore ultimo ed universale, il Padre di tutti, principio e fine del mondo. La sostanza morale dell’evangelo, quando è tradotta in realtà personale, è garanzia di se stessa e continuamente cresce con coloro che se ne fanno testimoni. Il problema non è tanto quello di formularla o difenderla in teoria, ma di viverla e comunicarla nella sua intensità e nella sua coerenza. E questo è il problema più grave di coloro che ufficialmente rappresentano i valori cristiani. Sono i primi ad essere chiamati al difficile esame della fedeltà personale verso ciò che annunciano, dell’esempio, della coerenza. Lo ricorda il Gesù giovanneo ai suoi discepoli: "Exemplum dedi vobis" (Gv 13,15.35).

6. Compiti attuali

L’annuncio cristiano nel contesto della cultura occidentale contemporanea, quale è quella trasmessa dalle istituzioni di studio soprattutto in Italia, si trova davanti ad una serie di compiti.

1) Innanzitutto deve vagliare una tumultuosa eredità storica. Per quasi quindici secoli il cristianesimo ha pervaso di sé tutta la vita individuale e collettiva. Nello stesso tempo ha assunto talvolta forme ben lontane dall’annuncio primitivo. Questo cristianesimo pubblico del passato arriva alle nuove generazioni in modo assai complicato e non è facile per loro farsene un’idea precisa. La solennità della cattedrale romanica, gotica, rinascimentale o barocca si accompagna alla conoscenza superficiale delle devozioni più elementari; la pittura di Giotto o Michelangelo si trova accanto le immagini un tempo popolari dei santi; l’arte letteraria di Dante o Manzoni ha vicino i riti ecclesiastici più comuni; il fascino della musica sacra del passato, come quello del canto gregoriano o di Bach, si unisce a nozioni dottrinali vaghe e ottenute per sentito dire; Benedetto e Tommaso si accompagnano alle crociate, all’inquisizione, alle guerre religiose dell’Europa moderna. L’ambiente artistico dell’Italia mette immediatamente a contatto con una larghissima serie di memorie religiose di ogni tipo, mentre è difficile farsene un’idea chiara e coerente. L’impressione, il sentito dire, il film o la lettura, la discussione tra amici hanno spesso un rilievo molto netto. È necessario pertanto un lavoro storico di informazione, di chiarimento, di analisi.

Molto spesso i giovani, di fronte alle notizie parziali e contraddittorie di cui sono oggetto, chiedono di conoscere le fonti e i principi del cristianesimo. La lettura degli evangeli soprattutto è un desiderio molto comune, che però ha bisogno d’aiuto per essere soddisfatto, mentre mancano spesso le occasioni per un lavoro metodico. Da parte di chi vuole condurli ad una seria informazione religiosa è necessario uno sforzo per esporre e valutare il cristianesimo nella sua complessa realtà storica, dalle origini agli sviluppi recenti. Qui la problematica religiosa deve correre parallela alla cultura letteraria, filosofica, artistica, politica e deve saper parlare lo stesso linguaggio, per affrontarne i contenuti con i metodi usuali dell’informazione scolastica.

2) Un secondo passo deve consistere nell’individuazione dei caratteri originari del cristianesimo nella sua formulazione canonica. È superfluo affermare, dal punto di vista ecclesiastico, i dogmi della canonicità, dell’ispirazione e dell’inerranza biblica, se poi il messaggio religioso che si vorrebbe trasmettere tanto spesso prescinde da una conoscenza assidua delle Scritture e non conduce i giovani allo studio personale e alla meditazione di esse. Il canone biblico deve essere davvero preso per quello che è, ovvero per la regola dell’intelligenza e della prassi del cristianesimo. La chiesa ha scelto questa sua presentazione ideale, questa norma della sua vita e deve farla conoscere direttamente a chiunque si avvicini ad essa. In un mondo in cui le tradizioni e le convenzioni religiose sono sempre più fragili è ancor più necessario di un tempo un riferimento preciso e circostanziato alle idee fondamentali, come sono testimoniate dal Nuovo Testamento sulla base della Scrittura ebraica. Già il concilio Tridentino l’aveva affermato davanti agli sconvolgimenti del secolo sedicesimo e quello Vaticano II di fronte a quelli del ventesimo. Prima di giudicare negativamente la religiosità spesso incerta delle nuove generazioni, occorre domandarsi: "Quomodo credent ei, quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante?" (Romani 10,14). Oggi un impegno di studio durato molti decenni ha fornito ottimi strumenti per lo studio biblico, ma occorre che essi vengano di fatto usati e che vengano indicati a coloro che cercano di capire l’eredità cristiana.

3) Dalla storia e dal canone biblico occorre poi trarre il messaggio essenziale della fede: l’evangelo della grazia per i peccatori, annunciato con le parole e le opere. Seguendo il filo tracciato dagli evangeli e dagli altri testi del canone è necessario farne percepire i caratteri, la concretezza, l’attualità, il valore intellettuale e morale. Assicurato questo aspetto, che va continuamente approfondito, si possono capire le contraffazioni che il cristianesimo ha subito nel corso della sua storia e che può sempre subire ad opera di chiunque. Soprattutto per la cultura critica dei giovani è essenziale saper distinguere tra ciò che è originale, coerente, autentico e ciò che non lo è. È perfettamente inutile e controproducente tentare di giustificare tutto e tutti. È molto più conveniente che l’evangelo appaia, con la sua forza e la sua immediatezza, anche contro le infedeltà di coloro che si proclamarono o si proclamano cristiani. È molto più utile la sincerità. D’altra parte, di fronte alle idealità più pure del cristianesimo, ognuno percepisce la propria insufficienza e alla critica si deve accompagnare l’autocritica di chi sa far guardare una realtà morale ben superiore rispetto alle proprie realizzazioni e a quelle di qualsiasi individuo o comunità.

4) Devono essere poi sottolineati i valori comuni al cristianesimo e ad un umanesimo critico, coerente e in fondo molto vicino, anche storicamente, alle idealità evangeliche. Si possono ricordare in proposito la libertà della coscienza, la dignità dell’io, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, la ricerca comune della verità, il desiderio di felicità, la complementarità dei doni personali, la diffidenza verso ogni potere autocratico, la lotta contro ogni forma di sofferenza e di morte. Si aggiungano l’impegno dell’intelligenza nella ricerca della verità, l’operosità nel lavoro per soddisfare le esigenze comuni, la cooperazione tra le culture, le religioni e le forme diverse di organizzazione della vita umana in vista di un mondo pacifico.

Tutto ciò può essere considerato nella prospettiva teologica dell’universale corpo di Cristo nelle sue infinite articolazioni, in un’umanità sempre in movimento, alla ricerca della propria figura più autentica e nell’assunzione delle proprie responsabilità da parte di ogni individuo. Lo ricordava autorevolmente nell’enciclica Mystici corporis Pio XII, nel 1943, quando cercava di offrire un senso cristiano ed umano anche alle sciagure della guerra. Il cristianesimo e il suo annuncio universale di grazia e di giustizia prendono forma nelle esperienze più tese ed intense dell’umano, e così è fedele alla sua convinzione fondamentale della parola divina, vita e luce del mondo, fattasi carne umana sofferente ed amante, vincitrice della colpa e della morte, segno di innocenza e di pace.

5) Infine l’evangelo della grazia deve guardarsi dal pessimismo, dal disprezzo delle persone e delle idee, dalle polemiche, dalle faziosità. Deve dimostrare che la propria fede, per quanto convinta e delineata, non è mai motivo di ostilità e di repulsione. È piuttosto testimonianza di fiducia, dal momento che la parola divina illumina ogni essere umano (Gv 1,9) e nessuno è autorizzato in base all’evangelo a condannare i suoi simili (Mt 7,1-5).

Roberto Osculati